Ero all’inizio della mia “vita da psichiatra” e, per quanto avessi studiato, la pratica in reparto era tutta un’altra storia. Non c’era libro che servisse, si doveva vedersela a quattr’occhi e a mani nude con ogni genere di sofferenza, angoscia, violenza, per quanto potessero far paura.
Ricordo Franco, un collega un po’ più anziano che veniva da Trieste e aveva respirato a pieni polmoni l’aria nuova della “rivoluzione basagliana”, e lui mi disse più o meno così: “sai Turi, il nostro mestiere è quello di farci i fatti degli altri”. Nei libri questo non c’era scritto, ma Franco aveva maledettamente ragione.
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